
Cina, Amnesty International denuncia torture medievali ai detenuti
Il rapporto documenta le torture alle persone sospettate di aver commesso un reato per costringerle a confessare
Gli agenti di polizia in Cina continuano a estorcere ai detenuti in carcerazione preventiva confessioni forzate mediante torture e maltrattamenti, mentre gli avvocati che denunciano quanto accaduto ai loro clienti vengono spesso minacciati, intimiditi o persino arrestati e torturati a loro volta.
Questa è la sintesi del rapporto “Nessuna fine in vista. Tortura e confessioni forzate in Cina“, con cui Amnesty International documenta la prassi, profondamente radicata nel sistema penale cinese, di torturare le persone sospettate di aver commesso un reato per costringerle a confessare.
Il rapporto di Amnesty International si basa sulle interviste a circa 40 avvocati cinesi per i diritti umani e contiene i dettagli agghiaccianti di percosse e torture subite dai detenuti in custodia cautelare.
Patrick Poon, ricercatore di Amnesty International sulla Cina e autore del rapporto, ha affermato che nonostante le riforme annunciate dal governo di Pechino, poco o nulla è stato fatto per evitare la tortura. L’ONG internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani ha potuto documentare casi di tortura praticamente in ogni angolo del paese.
L’estorsione di confessioni con la tortura rimane una pratica diffusa durante la detenzione preventiva, soprattutto verso i funzionari del partito comunista accusati di corruzione, contro i dissidenti politici e nei confronti degli esponenti di minoranze etniche e del movimento spirituale Falun Gong, represso molto duramente dalle autorità cinesi.
Secondo il rapporto di Amnesty International, i detenuti in carcerazione preventiva vengono sottoposti a torture che rimandano al medioevo. I maltrattamenti comprendono: sedie di contenzione di metallo, lunghi periodi di privazione del sonno, di cibo e acqua, uso di manganelli elettrici e la cosiddetta “asse della tigre”, ovvero, legare le gambe del detenuto ad un’asse orizzontale, mentre gradualmente vengono aggiunti dei mattoni sotto i suoi piedi, col risultato che le gambe si sollevano sempre più in alto, procurando un intenso dolore alla vittima.
Sono molti i casi di tortura citati nel rapporto. Ad esempio, l’avvocato Liu Shuqing della provincia di Shandong ha raccontato come il suo cliente, Gong Jinjun, sia stato torturato dalla polizia con un manganello elettrico per 18 ore durante la sua detenzione avvenuta nel novembre 2013, per costringerlo a “confessare” l’accoltellamento di un individuo.
Esistono, inoltre, molte testimonianze di avvocati che, come rappresaglia per aver denunciato le torture dei loro clienti, hanno subito a loro volta trattamenti disumani da parte delle forze di polizia.
Tang Jitian, un ex procuratore e avvocato di Pechino, ha denunciato ad Amnesty International di essere stato torturato nel marzo 2014, quando insieme a tre colleghi aveva indagato su denunce di tortura in uno dei centri di detenzione segreti (conosciuti come “celle nere”) a Jiansanjiang, nella Cina nord-orientale.
“Mi hanno legato a una sedia di metallo, schiaffeggiato sul volto, preso a calci sulle gambe e colpito in testa con una bottiglia di plastica piena d’acqua così duramente da perdere conoscenza”, ha raccontato. Successivamente, Tang Jitian è stato incappucciato e, con le braccia legate dietro la schiena, è stato appeso per i polsi e picchiato.
“In un sistema nel quale persino gli avvocati possono finire per essere torturati dalla polizia, che speranza possono avere gli imputati comuni?” ha osservato Patrick Poon.
Gli avvocati cinesi intervistati da Amnesty International hanno denunciato la difficoltà di ottenere indagini realmente indipendenti sulle torture. Molti giudici, si legge nel rapporto, continuano a non escludere le confessioni estorte con la tortura. Secondo gli esperti di legge cinesi, meno del 20 per cento degli imputati in procedimenti penali ha un avvocato difensore.
Il governo cinese ha adottato alcune misure nel corso degli ultimi cinque anni per affrontare il problema della tortura. Nel 2012 Pechino ha promesso di “rispettare le misure preventive e correttive per evitare l’estorsione della confessione con la tortura e la raccolta delle prove attraverso metodi illegali. Ciò nonostante, Amnesty denuncia che la definizione di tortura nella legge cinese risulta ancora inadeguata e in contrasto col diritto internazionale. La norma infatti proibisce solo determinati atti di tortura, mentre non vieta espressamente quella psicologica.
“La Cina è un paese dove vige lo stato di diritto”, ha detto un portavoce del ministero degli esteri durante una conferenza stampa. “Estorcere delle confessioni con la tortura è espressamente vietato dalle leggi cinesi. Chiunque abbia commesso delle torture durante gli interrogatori verrà punito”, ha concluso il portavoce.