
Il Burundi ad un passo dalla guerra civile
L’instabilità nel paese africano ha già provocato oltre 200mila profughi
L’escalation di violenze in Burundi rischia di far precipitare il paese in una nuova guerra civile.
La decisione del presidente, Pierre Nkurunziza, di concorrere per un terzo mandato ha scatenato dall’aprile scorso le dure proteste delle opposizioni. L’instabilità seguita alla vittoria elettorale di Nkurunziza in luglio ha provocato oltre 200mila profughi.
Il Burundi ha già vissuto una cruenta guerra civile dal 1993 al 2006 nella quale 300mila persone hanno perso la vita.
Nkurunziza ha chiamato “criminali” coloro che protestano e ha reso pubblico un ultimatum di 7 giorni – scaduto sabato scorso – in cui intimava ai manifestanti di deporre le armi altrimenti sarebbero considerati dei nemici dello Stato. All’inizio di novembre il presidente del Senato, Révérien Ndikuriyo, ha avvertito che la polizia sarebbe andata presto a “lavorare” e ha chiesto di identificare “gli elementi che non sono in ordine”. L’ambiguità del linguaggio usato ha ricordato ai burundesi l’agghiacciante similitudine con le parole utilizzate nella vicina Ruanda prima del genocidio.
L’ultimo fatto di sangue si è verificato sabato notte nella capitale, Bujumbura, quando nove persone sono state giustiziate in un bar da sicari con uniformi della polizia, secondo il racconto dei testimoni. Tra le vittime c’è anche un dipendente delle Nazioni Unite.
Il giorno prima, sempre nella capitale, la polizia ha ucciso Willy Nzitonda, figlio di un importante attivista per i diritti umani. Willy Nzitonda lavorava per l’Associazione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dei detenuti; era stato arrestato venerdì mattina prima di essere ucciso. Il padre, Pierre-Claver Mbonimpa, dal suo esilio in Europa, ha confermato la morte del figlio. Il corpo di Nzitonda è stato abbandonato sul ciglio della strada assieme ad un altro cadavere. Lo stesso Mbonimpa era scampato ad un agguato in agosto, mentre il genero è stato ucciso in ottobre.
La polizia, dopo lo scadere dell’ultimatum lanciato da Nkurunziza, ha lanciato una vasta operazione alla ricerca di armi nei distretti della capitale in mano all’opposizione. Molti dei residenti di questi quartieri sono stati costretti a fuggire.
Le Nazioni Unite denunciano l’incremento degli arresti arbitrari e degli omicidi in Burundi
Secondo l’ONU, da aprile ci sono state 252 esecuzioni extragiudiziali e molti cadaveri sono stati trovati con le mani legate dietro la schiena, appartenente giustiziati. Scott Campbell, responsabile delle Nazioni Unite per l’Africa centrale e occidentale, ha avvertito in una conferenza stampa che l’organizzazione internazionale è meno preparata per far fronte alla situazione di quanto non fosse in Ruanda prima del genocidio del 1994.
La comunità internazionale si sta mobilitando per cercare di fermare l’escalation di violenze
La Francia ha presentato un progetto di risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con l’obiettivo di dare una risposta internazionale alle violenze nel paese dell’Africa centrale. La risoluzione prevede l’applicazione di sanzioni contro i leader del Burundi che incitano gli attacchi alla popolazione civile ed ostacolano gli sforzi per porre fine alla crisi.
“L’escalation in Burundi ha raggiunto un livello molto preoccupante, forse un punto di svolta”, ha affermato l’ambasciatore francese all’ONU, Alexis Lamek. “Se non diamo una risposta immediata, tutto il paese potrebbe esplodere”, ha avvertito.
L’ambasciatore britannico, Matthew Rycroft, ha invitato il Consiglio di Sicurezza a rimanere unito per impedire un nuovo possibile genocidio. “Ricordiamoci quello che è successo 21 anni fa in Ruanda. Non dobbiamo lasciare che la storia si ripeta” ha dichiarato.
Non è ancora chiaro se la Russia ed alcuni paesi africani membri del Consiglio di Sicurezza siano a favore di applicare le sanzioni al Burundi.
Questi paesi sono inclini a considerare quello che sta succedendo nel piccolo paese africano come una “questione interna”. Secondo il diplomatico russo, Petr Iliichev, le sanzioni non aiuteranno ad alleviare la crisi. “Dovremmo trovare un approccio che contribuisca al processo politico”, ha aggiunto.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dovrebbe votare la risoluzione nei prossimi giorni.